Onorevoli Colleghi! - A poco più di venti anni dall'approvazione della cosiddetta «legge Galasso» (legge 8 agosto 1985, n. 431), possiamo interrogarci su come rendere più efficace la tutela del paesaggio e connetterla alla valorizzazione del territorio. Possiamo farlo perché è già iniziata un'epoca diversa. Un'epoca in cui alcune amministrazioni locali, ad onor del vero ancora poche, hanno dichiarato guerra alla bruttezza e al saccheggio del territorio. Un'epoca in cui abbattere un edificio abusivo e ripristinare la legalità non deve più essere considerato un azzardo, ma un atto di civiltà condiviso.

      È successo a Eboli, a Catania, sulla Costiera Amalfitana, ma anche a Roma e in tante altre città. Dunque, dobbiamo avere il coraggio di demolire. Ma demolire non basta: a questa determinazione dobbiamo affiancare la promozione della qualità architettonica e urbanistica e la capacità di recuperare le aree degradate.

      Come ricorda il preambolo alla Convenzione europa sul paesaggio (resa esecutiva con legge n. 14 del 2006), «il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale, e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica e che, salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro». Il paesaggio può costituire il fulcro di un nuovo new deal. È, insomma, una fondamentale fonte di ricchezza, e la sua tutela una condizione imprescindibile non solo per arrestare processi di degrado e impoverimento, ma anche per promuovere, in altre parole, uno sviluppo sostenibile.

      Il paesaggio nazionale vive da anni uno stato di pesante degrado: centri storici soffocati da urbanizzazioni selvagge, periferie sempre più vaste e fuori controllo, coste, montagne, colline devastate dall'abusivismo edilizio, cave che sventrano le

 

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colline, cartelloni pubblicitari, antenne, tralicci, ovunque e senza regole, come un immenso arredo paesaggistico di bassa qualità.

      In una parola: un paesaggio saturo, che ha bisogno di riqualificazione e manutenzione. Certamente non di nuova edificazione.

      Il saccheggio del territorio è iniziato negli anni del dopoguerra, con un'industrializzazione percepita come valore assoluto e positivo.

      Un saccheggio che è proseguito negli anni del boom economico ed è andato avanti nel corso di tutti gli anni '80, con un circolo vizioso di abusi e condoni. Fino all'ultimo condono del Governo Berlusconi nell'anno 2003.

      La formazione della coscienza critica rispetto allo sviluppo incontrollato e senza limiti è rimasta per lungo tempo in ombra anche nella cultura della sinistra.

      Anzi, permettetemi di ringraziare tutte le associazioni ambientaliste e di tutela, vere sentinelle da sempre nella guerra al degrado, che si sono mosse in questi anni e hanno reso possibile, nel 1985, l'emanazione della legge Galasso.

      Credo che, prima di tutto, dobbiamo definire che cosa intendiamo oggi per paesaggio. Interrogarci sulla nozione da cui ricaviamo successive scelte giuridiche e tecniche. Paesaggio è infatti un termine complesso, che può essere declinato sotto profili diversi: quello estetico, quello naturalistico e quello storico-culturale.

      Naturalmente non è compito della politica inseguire una definizione che si fa complessa, sfumata e persino sfuggente. Compito della politica, però, è afferrarne il senso, il ruolo che al paesaggio deve essere attribuito nelle politiche nazionali e locali, il significato che la sua tutela innovativa può assumere nelle strategie di sviluppo, per poter ripensare tutti gli indirizzi che incidono, direttamente o indirettamente, sull'evoluzione del patrimonio paesistico fino alla capacità di progettare il paesaggio futuro.

      La legge Galasso ha rappresentato il primo, importante, tentativo di andare oltre la tutela di singoli beni o cose, considerati da un punto di vista meramente estetico, e ha delineato una disciplina organica di salvaguardia dei «beni ambientali» intesi in senso lato. Quella legge, definita norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica e dunque sovraordinata ad altre norme, ad esempio quelle urbanistiche, ha esteso il vincolo «paesaggistico-ambientale» a intere categorie morfologiche di beni (territori costieri, boschi, montagne, rive di fiumi e laghi, parchi, aree archeologiche eccetera).

      Purtroppo, occorre dirlo, l'attuazione della legge Galasso, necessaria proprio perché le indicazioni offerte dalla legge potessero funzionare, e non essere vissute come «gabbie» dalle comunità locali, è stata effettuata con ritardo o è mancata del tutto.

      Io credo sinceramente che questa proposta di legge debba avere, come punto principale di riflessione e quindi, se lo si vorrà, come più importante obiettivo da raggiungere, quello di potenziare l'attuale normativa di tutela del paesaggio.

      Voglio essere chiaro su questo punto, non si tratta affatto di superare, come qualcuno potrebbe pensare, i princìpi generali della legge Galasso.

      Sono certo che il Parlamento vorrà riflettere su questi importanti, anche se difficili, aspetti. Trovare cioè il momento di sintesi tra la tutela dei singoli beni paesaggistici e delle aree paesaggisticamente rilevanti, che non può arretrare con le procedure amministrative, a tutti i livelli, e un rapporto corretto con i cittadini e con le imprese che intendono agire sul territorio.

      La presente proposta di legge sulla disciplina paesaggistica è un primo passo in questa direzione. La qualità architettonica è fondamentale in un Paese in cui il laissez faire nel governo del territorio, dal dopoguerra in poi, ha prodotto la frantumazione di ogni possibile segno architettonico riconoscibile. E ci ha lasciato brutte case, brutte città, degrado, perdita del senso delle forme, dei colori e delle tradizioni, mentre il talento architettonico
 

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italiano pare emigrato altrove, a progettare e a costruire in altri Paesi.

La pianificazione paesaggistica in generale.

      La nuova normativa compone un quadro d'insieme della pianificazione paesaggistica certamente diverso da quello della legge Galasso.

      L'articolo 135 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, di seguito «codice», fissa i princìpi fondamentali: l'obbligatorietà del piano paesaggistico o urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, ai fini di una adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio; i contenuti essenziali del piano, e cioè la definizione delle trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e di riqualificazione e gli interventi di valorizzazione, tenuto conto dello sviluppo sostenibile; e la competenza della regione all'approvazione dello strumento.

      Punti centrali sono dunque, la disciplina in senso paesaggistico dei territori regionali e il valore paesaggistico quale parametro della normativa d'uso del territorio da fissare con il piano.

      Il piano è redatto in applicazione dei criteri fissati dalla normativa: in primo luogo, suddivisione dell'intero territorio regionale in ambiti, secondo il grado di valore paesaggistico. È poi prevista la concertazione istituzionale, ovvero la partecipazione degli enti locali istituzionali al procedimento formativo, con modalità che vengono fissate nella legge regionale.

      Per i piani territoriali e di settore, nonché per gli strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico, è stabilito che sia il medesimo piano paesaggistico a fissare le misure di coordinamento.

      Per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, stabilito che le previsioni del piano paesaggistico sono cogenti, è disciplinato un sistema di progressiva conformazione. Innanzitutto, è stabilita l'immediata sovrapposizione delle previsioni del piano paesaggistico rispetto a quelle eventualmente difformi degli strumenti urbanistici. Poi è rimessa alla legge regionale la disciplina del procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti degli enti locali; ma, va sottolineato, assicurando la partecipazione al procedimento degli organi del Ministero.
      Ulteriori elementi qualificanti la disciplina sono:

          l'obbligatorietà dello strumento e la sua estensione a tutto il territorio regionale, che in prospettiva pongono il piano paesaggistico quale strumento base per la tutela e la valorizzazione del paesaggio. Nella previgente normativa la pianificazione del paesaggio era obbligatoria solo per i beni vincolati dalla legge;

          la possibilità riconosciuta al piano paesaggistico di porre nuovi vincoli (assoggettare nuove aree al regime della tutela e della valorizzazione) e di modificare quelli esistenti;

          la definizione per legge di criteri, contenuti, fasi elaborative e finalità della pianificazione, che assicurano l'omogeneità della tutela su tutto il territorio nazionale.

      È previsto infine che, entro quattro anni dall'entrata in vigore del codice, le regioni adeguino alla nuova normativa i piani paesistici previgenti, anche quelli in corso di approvazione.

      È innegabile che nel sistema della pianificazione paesaggistica la valorizzazione e la gestione siano riconnesse alla strumentazione, così come il governo del territorio si sostanzia nella pianificazione territoriale e urbanistica.

      In sintesi, quindi, i princìpi posti dal codice sono i seguenti:

          - competenza legislativa regionale sul procedimento e sull'adeguamento degli strumenti urbanistici;

          - concertazione istituzionale nel procedimento di approvazione del piano;

 

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          - pianificazione paesaggistica di principio, con l'attuazione rimessa al piano urbanistico dell'ente locale;

          - sovraordinazione del piano paesaggistico sui poteri e sugli strumenti degli enti locali, nella duplice modalità della sovrapposizione automatica della disciplina e dell'obbligo di adeguamento.

Contenuto della proposta di legge.

      Le motivazioni alla base di una nuova normativa organica in materia di patrimonio culturale sono note; altrettanto note sono quelle di un'innovazione in materia di beni paesaggistici e di pianificazione in materia.

      La proposta di legge si articola nel modo seguente: le disposizioni generali definiscono i princìpi generali dell'attività di pianificazione della disciplina paesaggistica e le modalità della pianificazione, specificandone le diverse connotazioni (strategica, strutturale, attuativa), ma anche le diverse forme che ad esse possono essere conferite dai soggetti istituzionali per arricchirne qualità ed efficacia (partecipazione, concertazione, copianificazione, valutazione attraverso l'apporto delle conservatorie provinciali per la tutela del paesaggio).

      Da un lato si sono quindi definiti i caratteri delle diverse modalità di pianificazione in riferimento a obiettivi e contenuti, differenziando le finalità strategiche da quelle strutturali e attuative; dall'altro si è inteso rappresentare in forme strutturate un sistema di comportamenti che le amministrazioni devono assumere per qualificare, dal punto di vista ambientale e paesaggistico, le proprie attività di pianificazione e di governo del territorio anche scegliendo forme partecipative e concertative.

      L'intero impianto della proposta di legge è orientato a garantire condizioni di successo ai progetti di sviluppo locale ambientalmente sostenibili; questo può avvenire se le diverse scelte strategiche sottese a tali progetti sono tra loro coerenti e se sono compatibili con le ragioni del territorio e dell'ambiente.

      Si cita al riguardo lo studio di compatibilità paesistico-ambientale, che diviene un riferimento operativo ordinario per modulare le diverse attività di pianificazione dei territori cosiddetti «sensibili», ovvero di quelli che ricadono nella fascia costiera entro i mille metri dalla linea di battigia marina.

      Di particolare rilievo è l'articolo 3 (Misura di salvaguardia), il quale stabilisce, nelle more dell'attuazione del piano paesaggistico regionale, per i territori costieri compresi nella fascia entro i trecento metri dalla linea di battigia marina, un regime di moratoria per un periodo non superiore a due anni, comportante il divieto di realizzare nuove opere soggette a concessione e autorizzazione, nonché quello di approvare, sottoscrivere e rinnovare accordi di programma, pianificazione urbanistica e convenzioni di lottizzazione.

      Inoltre, con l'articolo 5, le funzioni per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica passano in capo alla regione al fine di garantire una migliore coesione tra gli interessi della tutela paesaggistica, gli strumenti pianificatori e le competenze urbanistiche ed edilizie dei comuni.

 

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